Nato a Milano il 13 aprile 1920, dopo il liceo
classico Roberto Calvi si iscrisse alla Scuola di Cavalleria dei Lancieri di Novara. Nel
1939, per non deludere i progetti materni, si iscrisse alla facoltà di Economia
e commercio della Bocconi, dove diresse l’Ufficio stampa e propaganda dei
Gruppi Universitari Fascisti fino all’entrata in guerra dell’Italia. Il
conflitto lo vide volontario in Russia. Al suo ritorno venne assunto nella
Banca Commerciale, per poi passare all’Ambrosiano, “la banca dei preti”,
fondata nel 1896 da monsignor Tovini per incarico del cardinale arcivescovo
Ferrari, e da allora controllata per decenni dalla Curia Milanese. Entrato a un
livello molto basso ma voglioso di fare carriera, tenace e propositivo, Calvi
era senza dubbio un ambizioso che sapeva darsi da fare. La sua prima grande
intuizione fu quella di seguire il futuro presidente del Banco Ambrosiano
Alessandro Canesi nel processo di internazionalizzazione dell’attività
bancaria, sia come canale espansivo delle attività creditizie sia come
strumento finalizzato a servire gli interessi privati di importanti gruppi
industriali e di grandi famiglie. Nel 1958 ricevette l’incarico di assistente
personale di Canesi. Nel 1959 questi divenne direttore generale del Banco
Ambrosiano, che l’anno successivo arrivò a disporre di circa 400 banche
corrispondenti in tutto il mondo. Su diretto impulso di Canesi venne costituita
la Banca del Gottardo e vennero allacciati contatti con la Hambros Bank di
Londra. Da Canesi Calvi apprende come sperimentare forme di controllo azionario
rastrellando, tramite terzi, titoli sul mercato. Quote dell’Ambrosiano in mano
a poche famiglie confluiscono nel 1963 in una società creata ad hoc da Canesi,
con sede in Lussemburgo (Compendium SA che nel 1976 diventerà Banco Ambrosiano
Holding). Nel 1965 Canesi divenne presidente del Banco Ambrosiano. Calvi iniziò
a collezionare posti nei consigli di amministrazione delle principali società
controllate come preludio all’entrata nel consiglio del Banco stesso. Nel 1968
Canesi approvò l’aumento di capitale della Banca del Gottardo e costituì una
società fiduciaria con sedi a Lugano e Zurigo. Nel 1970 Calvi venne nominato
direttore centrale capo. Nello stesso anno si gettarono le basi per costituire
un istituto di credito a Nassau (Bahamas). Da Svizzera, Lussemburgo e
Liechtestein il campo di azione si allargò oltreoceano, con Calvi che ne
assunse la responsabilità. La Banca d’Italia dispose una prima visita ispettiva
nella quale ci si rese conto che il Banco Ambrosiano deteneva azioni proprie
oltre i limiti di legge. Nel 1971 Canesi cedette la sua carica e divenne
presidente onorario del Banco. Calvi divenne direttore generale, poi entrò nel
consiglio di amministrazione venendo nominato consigliere delegato.
Nonostante la crisi economica, impieghi e raccolta
dei fondi riprendono a crescere. Il Banco procede a un’altra operazione,
condotta – secondo alcune letture – su impulso del finanziere siciliano Michele
Sindona: l’acquisizione di una rilevante partecipazione nella Centrale
Finanziaria di Milano, una storica società, da sempre considerata il “salotto
buono” della finanza italiana […] Per capire come un apprezzato e infaticabile
funzionario di banca sia potuto diventare nel giro di pochi anni uno dei più
potenti banchieri d’Italia e d’Europa è indispensabile soffermarsi sul 1971,
anno in cui Roberto Calvi diventa direttore generale dell’Ambrosiano. In quel
frangente si verificano mutamenti importanti per la storia del Banco. Proprio
allora si affacciano sulla scena personaggi che accompagneranno l’istituto nel
corso del suo ultimo decennio di vita, primi tra tutti Michele Sindona e Paul
Marcinkus.
Partiamo da Sindona. Nato a Patti, in provincia di Messina, l’8
maggio 1920, coetaneo di Calvi. “Mio padre e Sindona si sono conosciuti nel
1970 […] Non ci fu un grande feeling all’inizio, e anche in seguito i rapporti
tra loro erano ben diversi da quelli che mio padre aveva con Luigi Pennini,
l’amministratore dello IOR. Con Sindona c’era sempre una certa diffidenza”
racconta Carlo Calvi, che ritiene che fosse Sindona ad aver bisogno della
solida esperienza bancaria di suo padre, e non viceversa. “I fatti spesso si
trasformano in mito e si crede che Sindona abbia aiutato mio padre che sarebbe
poi diventato semplicemente il successore di Sindona. Ma non è così. Sindona
era uno che cercava di coinvolgere nelle sue manovre un po’ tutti. Correva
dietro alle persone per farle entrare nei suoi affari e trarne vantaggi”.
Secondo Carlo Calvi i due banchieri si frequentavano perché avevano contatti di
interesse e di lavoro con gli stessi ambienti. “Mio padre e Sindona entrarono
in contatto perché avevano rapporti comuni, in particolare con il Vaticano, ma
poi mio padre queste relazioni le ha gestite in modo del tutto autonomo.
Prendiamo a esempio la banca inglese Hambros: ci ho lavorato anch’io e lì c’era
anche un rappresentante del Vaticano. Il rapporto con quella banca era del
tutto indipendente da Sindona, ma poi, purtroppo, i fratelli Hambro caddero
vittime del suo fascino: si persuasero – e lo affermarono – che Sindona fosse
l’uomo del secolo. Quando hanno visto che le cose si mettevano male, hanno
trasferito le operazioni avviate con lui direttamente all’Ambrosiano e a mio
padre” […] Nei primi anni Settanta Cosa Nostra controllava il mercato della
droga in diverse parti del mondo e la Sicilia, all’epoca, era il regno delle
raffinerie di eroina. A Palermo e a Trapani erano molto numerose e Cosa Nostra
aveva il problema di come investire i soldi che incassava con il traffico degli
stupefacenti. Una parte del denaro era depositata nelle banche svizzere,
un’altra finiva in Borsa, mentre l’ultima veniva investita in progetti legati
al turismo. Cosa Nostra vide in Michele Sindona, allora brillante avvocato
fiscalista che avrebbe voluto fare il banchiere, l’uomo giusto per svolgere un
certo tipo di operazioni […] I rapporti tra Sindona e la mafia risalgono già
alla fine degli anni Cinquanta. Il 2 novembre 1957 a Palermo, nei saloni del
Grand Hotel delle Palme, si tenne un summit della mafia italo-americana, e
Sindona era presente. Il tema all’ordine del giorno era proprio la gestione del
mercato della droga. Il finanziere siciliano, dopo una serie di operazioni
portate a buon fine, volle compiere un ulteriore salto di qualità stabilendo
rapporti con il Vaticano.
Trasferitosi a Milano negli anni della ricostruzione
e affermatosi come abile consulente fiscale, nel 1958 Sindona conquista
l’amicizia del principe Spada, un laico della “nobiltà nera”, legata al
Vaticano, e quindi entra in contatto con Giovanni Battista Montini, allora
arcivescovo di Milano ed esponente di un’importante famiglia di Brescia. Nel
1960 mette gli occhi su una banca monosportello di Milano, la Banca Privata
Finanziaria. Tramite il principe Spada convince il Vaticano ad acquisire il
100% dell’istituto e a farsi girare il 40% delle azioni. Nel 1964 si avvicina
alla massoneria, vantando il suo impegno anticomunista e i rapporti
privilegiati con importanti ambienti anglo-americani. Nello stesso anno lo IOR
vende a Sindona la quota di maggioranza della Finabank di Ginevra. Sindona cede
una quota azionaria della Banca Privata
Finanziaria alla Hambros Bank di Londra e un’altra quota alla Continental
Illinois National Bank di Chicago. L’abile finanziere siciliano ha esteso il
suo raggio d’affari e di conoscenze negli Stati Uniti, dove ottiene uno
strepitoso successo sui magazines che contano. Ha fatto le amicizie giuste:
oltre ai banchieri, si lega a un avvocato emergente, Richard Nixon, e al boss
mafioso italo-americano Joe Doto, altrimenti noto come Joe Adonis, che gli
affida le sue più riservate operazioni finanziarie. Su incarico di Adonis,
Sindona si reca a New York dove viene accolto dalla famiglia mafiosa dei
Genovese, per conto dei quali crea i canali per riciclare proventi illeciti di
varia natura […] Sindona diventa uno dei primi esperti di banche off-shore dove
far transitare eurodollari esentasse. I rapporti con il Vaticano si consolidano
definitivamente quando si profila la fine dell’esenzione totale dal pagamento
delle tasse di cui il Vaticano aveva beneficiato fino ad allora. La nuova
legislazione fiscale impone, dal dicembre 1962, una tassazione sui profitti
derivanti dai dividendi azionari. Un danno enorme per la Santa Sede, che decide
di ripensare le proprie strategie finanziarie investendo parte del suo
patrimonio all’estero. Qui entra in scena Sindona, nel frattempo diventato
consulente finanziario della curia milanese che poi si sposterà in blocco a
Roma, nel 1963, con l’ascesa al soglio pontificio di Montini […] Oggi sappiamo,
grazie a inchieste come quella condotta dal giudice Imposimato, che l’errore
del Vaticano è stato quello di essersi prestato a fare da schermo per le
operazioni di Sindona. In cambio di questa copertura lo IOR riceveva comunque
una lauta ricompensa grazie al meccanismo ricostruito dallo stesso Imposimato.
“Il riciclaggio di denaro si effettua in tre tappe: prima i capitali della
mafia, dei partiti politici e dei grossi industriali vengono versati nelle
banche di Sindona. In seguito passano attraverso lo IOR che trattiene una quota
di interessi e infine tutti questi
soldi, ai quali si aggiungono gli investimenti della Santa Sede, vengono
trasferiti nelle banche estere di Sindona, la Franklin di New York e le sue
filiali alle Bahamas e a Panama”. Imposimato ha pagato caro questa sua indagine
sui rapporti tra Vaticano, mafia e politica: suo fratello Francesco, infatti, è
stato assassinato l’11 ottobre 1983. parallelamente all’ascesa di Calvi, che
nel 1971 viene nominato direttore generale dell’Ambrosiano, Sindona mette a
punto un piano per far nascere un gruppo di dimensioni europee. Il primo
obiettivo è la Centrale Finanziaria, la società che all’epoca fungeva da
“salotto buono” della finanza italiana poiché deteneva partecipazioni di
diverse società industriali. L’operazione è condotta con l’aiuto degli Hambro e
con il sostegno esterno di Calvi. Nel nuovo consiglio di amministrazione della
Centrale si insediano Sindona, il principe Spada e John Mc Caffery, “molto
vicino all’Opus Dei”, come disse di lui lo stesso Sindona, rappresentante in
Italia degli Hambro e uomo dei servizi segreti inglesi. Qualche mese prima di
morire Sindona fece un accenno diretto ai suoi rapporti con l’Opera e raccontò
“di essere entrato in contatto con membri spagnoli dell’Opus Dei tramite John
Mc Caffery, l’ex capo del servizio informazioni britannico per l’Italia che
dopo la seconda guerra mondiale è diventato rappresentante della Hambros Bank
di Londra nel nostro Paese” […] Forte della conquista della Centrale, Sindona
avviò la scalata alla Bastoni, società finanziaria che deteneva partecipazioni
nelle più note aziende italiane e nel cui consiglio di amministrazione sedevano
i nomi più prestigiosi della nostra industria […] L’opposizione della Banca d’Italia
fece fallire l’operazione e la stella di Sindona cominciò a declinare. Calvi,
su pressione del Vaticano, fu chiamato a ricomporre i cocci. L’Ambrosiano si
disse disposto a rilevare il pacchetto azionario posseduto da Sindona nella
Centrale Finanziaria. A meno di un anno dalla sua nomina a consigliere della
Centrale, Sindona si dimise e poco tempo dopo il fallimento dell’opa sulla
Bastoni entrarono in consiglio di amministrazione della Centrale Canesi, che
assunse la presidenza, e Calvi, che divenne vicepresidente […] I rapporti tra
Calvi e Sindona diventano pessimi. Quest’ultimo tenta di risollevarsi attraverso alcune operazioni negli Stati
Uniti. Intanto Calvi miete un successo dietro l’altro: l’acquisizione della
Banca Cattolica del Veneto, del Credito Varesino, della Toro Assicurazioni
oltre naturalmente alla Centrale Finanziaria, e all’espansione all’estero
dell’Ambrosiano. Nel 1972 Sindona, attraverso la Franklin Bank, si lancia in
una politica di speculazioni sui cambi che finisce per affondare l’istituto di
credito. Nel 1973, alle prese con un improrogabile bisogno di liquidità,
Sindona si rivolge al Banco di Roma, dove ha consistenti appoggi grazie al suo
rapporto privilegiato con la DC. Nel 1974 viene decretata la liquidazione
amministrativa coatta della Banca Privata Finanziaria, affidata all’avvocato
Giorgio Ambrosoli. Sindona tenta di bloccare il provvedimento di liquidazione
minacciando il neogovernatore della Banca d’Italia Baffi, il vicepresidente e
lo stesso Ambrosoli, poi ucciso da un sicario mafioso, su mandato di Sindona,
l’11 luglio 1979. Marcinkus e Calvi tentano di liberarsi dagli ingombranti
legami che hanno con il banchiere, ormai prossimo al tracollo […] “Una delle
carte che mio padre conservava con maggior cura era la famosa lettera di Luigi
Cavallo in cui si parla dei due scorpioni e della bottiglia. I due scorpioni
erano Sindona e Calvi, che poi si uccidono reciprocamente. Mio padre la
conservava nella sua cassaforte alle Bahamas. Ora è in mio possesso”. È un
documento scritto a macchina, ricevuto da Calvi poco prima delle vacanze
natalizie del 1977. “Egregio dottor Calvi, tra le tribù dell’Uganda è ben nota
la tavoletta dei due scorpioni in una bottiglia. Se i due scorpioni impegnano
una lotta a oltranza, questa ha, inevitabilmente, un esito letale, per ambedue
i contendenti. Io sono fuori della bottiglia ma – diversamente da certi Suoi
consiglieri – non ho alcun interesse nella continuazione e nell’aggravamento
della lotta. Contro di Lei non ho nulla di personale. Nella mia prima lettera
Le ho indicato l’unico obiettivo dell’azione in corso e, perdurando il Suo
caparbio rifiuto a onorare gli impegni da Lei volontariamente assunti, tale
azione verrà intensificata sino alla logica conclusione: Magistratura e Guardia
di Finanza, carabinieri e sindacati, partiti e polizia saranno progressivamente
costretti a intervenire e, a un certo momento, dinanzi all’insurrezione
dell’opinione pubblica, degli azionisti, dei dipendenti, della stampa, dei
parlamentari, Ella – “Rubamazzo” sempre più “chiacchierato” – verrà sacrificato
dal Comitato esecutivo dell’Ambrosiano per il bene dell’Istituto e la maggior
gloria del Suo successore. Se ciò non avvenisse in tempi brevi, gruppi
extraparlamentari Le renderanno impossibile la vita privata e quella sociale.
Dovrà scegliere: o scappare all’estero o essere rinchiuso a San Vittore. O il
suicidio civile o la latitanza, più o meno dorata. Ma anche la fuga ha i suoi
aspetti negativi. E date le Sue numerose radici finanziarie, non sarà difficile
scovarLa. Anche in Argentina, come altrove, ho amici fidati. E non commetta
l’errore di fare affidamento sull’istinto di sopravvivenza o sulla misericordia
del primo scorpione. È deciso: o l’accordo e il rispetto degli impegni o la
lotta ad oltranza. Se preferisce quindi anticipare la pace natalizia e il suo
solito viaggio per la pesca d’altura, telefoni a chi di dovere e fissi un
appuntamento. Ritrovare un amico e la normalità è certamente più gradevole
della fine del secondo scorpione in una bottiglia. Con i migliori auguri di
buon viaggio e di un pacifico e sereno 1978, La saluta Luigi Cavallo” […] È
sorprendente la profetica precisione dei riferimenti. Si parla di “impegni
volontariamente assunti” che rimandano al discusso “patto” concluso con molta
probabilità da Calvi e Sindona prima della partenza di quest’ultimo dagli Stati
Uniti. Poi la previsione: “Lei verrà sacrificato dal Comitato esecutivo
dell’Ambrosiano”, fatto puntualmente verificatosi il giorno prima della morte
di Calvi a Londra […] È impressionante anche un altro riferimento: “Gruppi
extraparlamentari Le renderanno impossibile la vita privata e quella sociale”.
Un indizio oscuro, ma alla luce dei fatti molto preciso: è risultato che gli
ambienti in cui matura l’esecuzione di Calvi, a Londra, sono contigui a nuclei
di attivisti di estrema destra, legati ai servizi segreti e alla mafia […]
Inquietante il passaggio in cui si afferma: “Date le Sue numerose radici
finanziarie, non sarà difficile scovarLa. Anche in Argentina, come altrove, ho
amici fidati”. È noto che Calvi ebbe rapporti con l’Argentina, di cui nei primi
anni Ottanta finanziò la Marina da guerra nell’acquisto dei missili Exocer
usati nella guerra delle Falkland-Malvinas contro l’Inghilterra […] Il
dettaglio della lettera relativo al “solito viaggio per la pesca d’altura”
conferma poi che il vero autore era Sindona, perché, come ricorda Carlo Calvi,
suo padre e il finanziere siciliano erano andati più volte a pescare assieme
alle Bahamas, dove si ritrovavano con Marcinkus. Ma quello che più sconvolge è
la terribile predizione della morte dei due “scorpioni”, avvenuta addirittura
secondo la stessa modalità del finto suicidio: Calvi impiccato sotto il
Blackfriars Bridge, nel 1982; Sindona avvelenato da un caffè al cianuro nel
supercarcere di Voghera, il 22 marzo 1986. Entrambi, nel momento in cui vennero
eliminati, stavano per essere sottoposti a processi nel corso dei quali
avrebbero rivelato molte cose, soprattutto informazioni scottanti sulle
attività finanziarie del Vaticano. “Stando a quello che mio padre stesso mi
disse poco prima di morire, e alle indagini compiute dall’agenzia investigativa
Kroll, sono convinto che la borsa che lui portava con sé al momento della morte
conteneva documenti importanti. C’erano poi delle chiavi; in particolare quella
di una cassetta di sicurezza in Svizzera. E due dossier. Uno relativo al
capitolo nicaraguese della sua attività bancaria, che ci porta alla questione
Iran-Contras, ovvero al rapporto con gli americani, impegnati politicamente e
finanziariamente nella guerriglia antisandinista. Altri documenti che portava
con sé nella borsa riguardano l’estorsione perpetrata contro di lui da Sindona.
In quel dossier c’era anche la lettera dei due scorpioni nella bottiglia” […]
L’estorsione perpetrata da Sindona contro Calvi è una vicenda complessa che ci
dà modo di introdurre il complicato meccanismo che legherà l’Ambrosiano e lo
IOR […] “Mio padre teneva una sorta di contabilità parallela che riportava i
nomi delle società e dei relativi conti presso lo IOR”. Una contabilità
speculare, che dimostrava come lo IOR poteva avere accesso a quei conti in ogni
momento e senza apparire direttamente. Quei documenti rappresentavano un forte
strumento di ricatto potenziale. Il ricatto che Roberto Calvi esercitava nei
confronti dello IOR, ma che già anni prima, con molta probabilità, lo stesso
Calvi subiva da Sindona, con il quale aveva creato diverse disponibilità
all’estero. “Mio padre teneva queste tabelle sempre aggiornate. Se ne è parlato
poco e solo nelle relazioni di minoranza della Commissione P2. documentavano i
conti speculari tra le banche del Gruppo Ambrosiano e lo IOR. Cos’è che manca
nella sua borsa? Manca l’aggiornamento di questi conti paralleli. Mentre si è
parlato molto delle lettere di patronage rilasciategli da Marcinkus, di questi
conti non si è mai parlato. Io ne ho una versione precedente che risale al
1978, ma quando è morto, nel 1982, mio padre ne aveva una versione aggiornata
nella borsa” […]
Un altro incontro fondamentale che segnerà la drammatica
parabola del “banchiere di Dio” è quello con Paul Marcinkus, nato il 15 gennaio
1922 in un sobborgo di Chicago del quale rivendicava orgogliosamente
l’appartenenza, figlio di un lavavetri di origine lituana emigrato negli Stati
Uniti nel 1908, e di una commessa di panetteria di origine russa. Visse
un’infanzia povera e difficile […] In quegli anni Cicero, il sobborgo in cui
viveva la famiglia Marcinkus, era il feudo di Al Capone […] A partire dal 1938
il giovane Paul frequenta uno degli istituti più severi d’America. Viene
ordinato sacerdote nel maggio 1947 e nel 1950 parte per Roma, per studiare
diritto canonico all’Università Gregoriana. Chi appoggia la sua carriera? Quali
interessi rappresenta? Marcinkus era una figura chiave nella rete di rapporti
tra servizi segreti americani e Vaticano, giustificati in chiave anticomunista.
Parallelamente a queste relazioni il vescovo americano matura nel tempo
rapporti ambigui anche con personaggi che vivono ai confini della criminalità
organizzata […] Appena arrivato in Italia stringe amicizia con personaggi
influenti della Curia romana. Suo mentore diviene monsignor Macchi, futuro
segretario particolare di papa Montini. Esperto di economia e finanza,
monsignor Macchi era intimo amico del principe romano Massimo Spada, il noto agente
di cambio della “nobiltà nera” a cui, negli anni Trenta, il Vaticano affidò la
gestione di alcuni dei propri interessi finanziari. Ma Macchi era anche un
mecenate e un grande collezionista di opere d’arte, passione che lo portava a
frequentare il giro degli antiquari, un mondo nel quale si ritrovano diversi
strani personaggi implicati nella vicenda Calvi-Ambrosiano, come ad esempio
Sergio Vaccari, l’antiquario romano attivo a Londra, ucciso dopo la morte di
Calvi […] Fu Macchi a presentare Marcinkus a papa Montini e la sua origine
americana rappresentò una carta importante da giocare nei confronti del
pontefice […] Dopo due missioni in Bolivia e in Canada, al sacerdote americano
viene affidato l’incarico di organizzare i viaggi di Paolo VI, compito che
svolse con abilità ed efficienza. Nel 1968 viene destinato allo IOR, la banca
vaticana […] Lo IOR ha come antenato la Commissione Ad pias causas, istituita
nel 1887 da Leone XIII al fine di convertire le offerte dei fedeli in un fondo
facilmente smobilizzabile. La prima riforma delle finanze vaticane risale al
1908, quando su iniziativa di papa Pio XI l’istituto assume il nome di
Commissione amministratrice delle Opere di Religione. Ma è solo con Mussolini
che decollano le fortune economiche del Vaticano, in particolare quando il duce
risolve la cosiddetta “questione romana”, ossia la decisione di annettere gran
parte delle proprietà pontificie presa nel 1870 dal Regno d’Italia. Da allora
lo Stato garantiva al Vaticano una sovranità limitata e un sussidio annuo. Ma
all’indomani dei Patti Lateranensi del 1929 l’Italia, oltre a riconoscere al
nuovo Stato denominato “Città del Vaticano” l’esenzione dalle tasse e dai dazi
sulle merci importate, predispose un risarcimento per i danni finanziari subiti
dallo Stato pontificio in seguito alla fine del potere temporale […] Per
gestire questo ingente patrimonio, subito dopo la firma dei Patti Lateranensi
papa Pio XI istituisce l’Amministrazione speciale per le Opere di Religione che
affida a un laico, l’ingegner Nogara, abile banchiere proveniente dalla Comit.
Grazie alla sua abilità Nogara trasforma l’Amministrazione in un impero
edilizio, industriale e finanziario. Le condizioni che il banchiere pose al
Papa per accettare l’incarico di gestire il patrimonio del Vaticano erano due:
“1. qualsiasi investimento che scelgo di fare deve essere completamente libero
da qualsiasi considerazione religiosa o dottrinale; 2. devo essere libero di
investire i fondi del Vaticano in ogni parte del mondo”. Il Papa accettò e si
aprì così la strada alle speculazioni monetarie e ad altre operazioni di
mercato nella Borsa valori, compreso l’acquisto di azioni di società che
svolgevano attività in netto contrasto con l’insegnamento cattolico […] Grazie
alla gestione di Nogara il Banco di Roma, il Banco di Santo Spirito e la Cassa
di Risparmio di Roma entrarono nell’ambito di influenza del Vaticano […] Nel
1935 quando Mussolini ebbe bisogno di armi per la guerra di Etiopia, una
considerevole quantità fu fornita da una fabbrica di munizioni che Nogara aveva
acquisito per il Vaticano […] Nel 1942 papa Pio XII decide di cambiare nome
all’Amministrazione speciale per le Opere di Religione che diventa Istituto per
le Opere di Religione (IOR). Nasce così un ente bancario dotato di autonoma
personalità giuridica che si dedicherà non solo al compito di raccogliere beni
per la Santa Sede, ma anche ad amministrare il denaro e le proprietà ceduti o
affidati all’istituto da persone fisiche o giuridiche per opere religiose e di
carità cristiana. La Santa Sede venne esonerata dal pagare le imposte sui
dividendi bancari. Furono rafforzati i legami con diverse banche: i Rothschild
di Londra e di Parigi, Credit Suisse, Hambros Bank, Morgan Guarantee Trust, The
Bankers Trust di New York (utilizzata per comprare e vendere titoli sulla borsa
di Wall Street), Chase Manhattan Bank, Continental Illinois National Bank. Nogara
assicurò al Vaticano partecipazioni in società che operavano nei settori più
diversi: alimentare, assicurativo, acciaio, meccanica, cemento e beni immobili.
Nel 1954 decide di ritirarsi senza tuttavia interrompere l’attività di
consulente finanziario del Vaticano, che proseguì fino alla morte, sopraggiunta
nel 1958. La stampa dedicò poco spazio alla sua scomparsa, ma il cardinale
Spellmann di New York pronunciò per lui un memorabile epitaffio: “Dopo Gesù
Cristo la cosa più grande che è capitata alla Chiesa cattolica è Bernardino
Nogara”. Al geniale banchiere, nel corso della sua lunga attività, venne
affiancato il principe Massimo Spada. Anche lui mostrò lungimiranza e
spregiudicatezza nella gestione degli interessi del Vaticano e si lanciò in
varie operazioni, la maggior parte delle quali in collaborazione con Michele
Sindona […] Lo IOR si è sempre avvalso della sua extraterritorialità per
operazioni “coperte” o comunque poco trasparenti. “Nel corso della vicenda
Ambrosiano” afferma Carlo Calvi “le operazioni coperte attraverso lo IOR sono
state migliaia. E di esse Marcinkus era a conoscenza, così come lo erano gli
altri dirigenti dello IOR” […] Nel 1971 ha inizio una nuova fase nei rapporti
Ambrosiano-IOR grazie soprattutto al complesso sistema di consociate estere che
porterà poi alla bancarotta l’istituto milanese. Uno schema che si è poi
ripetuto in molti disastri della finanza italiana, sino ai più recenti […] Dopo
l’aumento della quota di partecipazione dello IOR nel Banco, Calvi e Marcinkus
si dedicano a tempo pieno allo loro creatura: la Cisalpine Overseas Bank Ltd di
Nassau, che in seguito diventerà Banco Ambrosiano Overseas Ltd. Lo IOR fa sentire
la sua presenza nelle operazioni sempre meno trasparenti che Calvi andava
tessendo per sostenere quella rete occulta di società estere costruita
inizialmente per assicurarsi il controllo azionario del Banco. Calvi non doveva
giustificare ai suoi azionisti questi stretti rapporti con il Vaticano poiché
tale legame rientrava nel DNA del Banco Ambrosiano. Anzi, spesso Calvi tirava
in ballo lo IOR per rassicurare quanti gli chiedevano spiegazioni su molte
operazioni finanziarie da lui condotte […] Molti analisti sostengono che siano
stati Marcinkus e Sindona ad avere l’idea di creare la Cisalpine di Nassau,
mentre Calvi sarebbe stato semplicemente incaricato di realizzarla dal punto di
vista tecnico. In un interrogatorio del 22 ottobre 1984, nel carcere di Voghera,
Sindona ne rivendica la paternità: “Ero stato io stesso, nell’ambito di quella
politica di espansione internazionale del Banco Ambrosiano che Calvi intendeva
perseguire, a suggerirgli di costituire regolarmente questa banca, la
Cisalpine, alle Bahamas. Naturalmente entrambi sapevamo che una banca non
poteva nascere dal nulla; doveva acquisire prestigio perché altrimenti nessuno
avrebbe mai depositato nulla”. Le Bahamas si stavano imponendo allora come uno
dei principali paradisi fiscali nell’ambito dell’off-shore banking. “Fui io
stesso” ha affermato ancora Sindona “a escogitare un sistema per far entrare lo
IOR nella banca; in tal modo sul mercato internazionale si sarebbe potuto
spendere il nome del Vaticano che era garanzia di porte aperte sempre e
ovunque”. Secondo Carlo Calvi invece Sindona non diceva la verità: “Negli anni
Settanta tutti correvano alle Bahamas anche perché erano ottimamente collegate
con New York. Mio padre era andato a Nassau nella primavera del 1970 per
effettuare una ricognizione sul posto. Qualche mese dopo si doveva cercare un
direttore generale. Per il colloquio si presentò Walther Siegenthaler, allora
dirigente bancario svizzero che operava a Nassau […] Molti anni dopo si è
scoperto che il banchiere svizzero Siegenthaler era un esponente di rilievo
dell’Opus Dei, uno dei cassieri della potente organizzazione che già da allora
sorvegliava le dinamiche interne allo IOR e in generale i rapporti di potere in
Vaticano. Siegenthaler tra l’altro fu caldamente raccomandato a Calvi da
Sindona che con l’Opus Dei intratteneva rapporti da tempo […] Siegenthaler
costituì alcune società a Panama, il più accogliente dei paradisi fiscali
mondiali e le affidò a uomini di fiducia. Lo scopo era quello di riempire le
scatole vuote di Panama con i soldi del Banco Ambrosiano […]
Ma Panama era
anche il terminale del narcotraffico, il regno del generale Noriega, protetto
dalla CIA in cambio dell’aiuto ai Contras, impegnati dal 1978 a rovesciare i
sandinisti saliti al potere in Nicaragua. Gli americani esigevano rapporti su
tutto quanto accadeva a Panama, specialmente informazioni sul riciclaggio di
denaro sporco, la più fiorente delle attività locali. Fu così che Noriega
costituì un archivio impressionante di dossier sulle migliaia di uomini d’affari
e di società che operavano nel suo paradiso fiscale. Tra questi, ovviamente,
c’erano anche i movimenti che riguardavano Calvi, il Banco Ambrosiano,
Marcinkus e lo IOR. Quando Noriega si trasformò da mansueto collaboratore della
CIA in un pericoloso narcodittatore, gli americani mutarono orientamento e
decisero di rovesciare il suo regime. Noriega, braccato dalle truppe speciali
americane, si rifugiò nella nunziatura apostolica del Vaticano, diretta dal
monsignore spagnolo Sebastian Laboa, vicino all’Opus Dei, incaricato di
controllare le operazioni condotte da Marcinkus. Monsignor Laboa convinse
Noriega a consegnarsi agli americani il 3 gennaio 1990 […] Da allora Noriega
non è mai stato sottoposto a un processo […] Gli inquirenti italiani hanno
comunque compreso che il Banco Ambrosiano Overseas Ltd di Nassau svolgeva un
ruolo diverso rispetto a quello delle tante consociate estere dell’Ambrosiano.
Era il centro di smistamento dei fondi che partivano dall’Italia diretti alle
filiali di Managua, in Nicaragua, e di Lima, in Perù, per inabissarsi
definitivamente nel canale occulto delle società fantasma dello IOR di Panama e
del Liechtenstein. Calvi spediva, Marcinkus e Siegenthaler smistavano […] Carlo
Calvi è certo del fatto che monsignor Marcinkus fosse perfettamente al corrente
di quanto accadeva: “Marcinkus, e lo dico per mia esperienza diretta, lo vedevo
personalmente negli anni dal 1971 al 1979 ai consigli di amministrazione del
Banco Overseas di Nassau […] Quella realizzata dallo IOR è una massa enorme di operazioni
finanziarie. Marcinkus sapeva benissimo quanto succedeva: facevano queste
triangolazioni, quello che loro chiamavano il “conto deposito”, in cui c’era
uno scambio continuo di depositi tra lo IOR e l’Ambrosiano di Nassau e tra lo
IOR e la Banca del Gottardo”. La rete di istituti bancari che Roberto Calvi
attiva oltreoceano si rivelerà un vero e proprio pantano. L’anomalo spostamento
di capitali sarà colto dalla Banca d’Italia che nel 1978, con la cosiddetta
ispezione Padalino, solleverà diverse peplessità in merito alla gestione di
Roberto Calvi. Il sospetto era che dietro le società estere acquirenti di
cospicui pacchetti azionari del Banco Ambrosiano vi potesse essere la stessa
azienda ispezionata, con ovvie conseguenze sulla situazione patrimoniale del
Banco. Per sviare quelle accuse, l’Ambrosiano effettua, su disposizione di
Calvi, un aumento di capitale. Ulteriori perplessità sulla gestione del Banco sono avanzate dalla
società di revisione Coopers & Lybrand, la quale ritiene che l’istituto milanese
stia da tempo promuovendo massicci prestiti verso lo IOR, ben oltre le sue
stesse possibilità […] L’11 ottobre 1979 Roberto Calvi comunica al consiglio di
amministrazione dell’istituto milanese la costituzione a Lima, in Perù, del
Banco Ambrosiano Andino […] Nel 1976, in Nicaragua, era nato l’Ambrosiano Group
di Managua […] Carlo Calvi non ha difficoltà ad ammettere che suo padre
finanziava alcuni regimi sudamericani, in una complessa strategia che vedeva
coinvolti settori importanti della Chiesa cattolica e dei servizi segreti
americani, in funzione anticomunista […] Chiedo a Carlo Calvi se condivide la
tesi di quegli autori secondo cui molti soldi del Banco Ambrosiano sarebbero
serviti al Vaticano per contenere, d’intesa con gli Stati Uniti, le spinte
rivoluzionarie. “Le società panamensi avevano diverse funzioni, ma si possono
ricondurre sostanzialmente a quattro: la prima era quella di custodire il
grosso pacchetto dell’Ambrosiano all’estero; la seconda quella di detenere
all’estero alcune attività del Vaticano; la terza quella di effettuare
pagamenti del Vaticano o per conto del Vaticano; la quarta, le attività legate
alla BNL e all’ENI” […] Il Vaticano, proprio in quegli anni, aveva avviato,
attraverso la mediazione di diverse società panamensi, un massiccio
trasferimento di fondi che transitavano in America Latina in attesa di poter
esser poi investiti negli Stati Uniti […] Spiega Carlo Calvi: “Questo
meccanismo di finanziamento dei partiti tramite banche pubbliche ed enti
petroliferi, magari utilizzando il Vaticano e la sua extraterritorialità per
mascherare i movimenti finanziari illeciti, nacque nel dopoguerra, perché c’era
la necessità di finanziare tutte le forze che si opponevano al comunismo e
appoggiavano la politica degli Stati Uniti. Almeno fino a quando è morto mio
padre, non ha mai smesso di funzionare. Devo aggiungere però che ben presto
l’anticomunismo divenne solo un pretesto e quel che contava davvero erano gli
affari. Anticomunismo e affari potevano tranquillamente procedere di pari
passo. Basti pensare alla P2. Io stesso sono stato testimone diretto di uno di
questi finanziamenti. Era il 1978 ed eravamo a Washington. Lì si svolse una
riunione alla quale parteciparono Philip Guarino, ex sacerdote italo-americano,
membro del comitato organizzativo della campagna elettorale di Ronald Reagan e
uomo di raccordo tra Licio Gelli e il Partito Repubblicano americano; Bill
Mazzocco, amico intimo dell’ex capo della CIA Colby, che in anni passati aveva
distribuito soldi in Italia per influenzare partiti politici e sindacati. Poi
c’erano mio padre e Vito Miceli, l’ex capo del SID. Alla fine della riunione a
Miceli vennero dati dei soldi. Mio padre mi disse che il generale era
regolarmente finanziato. Non penso che Miceli si mettesse in tasca quel denaro.
Serviva per la struttura. Per finanziare una politica oltranzista
filo-repubblicana” […] A partire dal 1976 l’Ambrosiano finanziò la vendita di
sei fregate da parte della Fincantieri alla Marina del Venezuela, di alcune
corvette all’Ecuador, di quattro fregate e di numerosi elicotteri Agusta al
Perù, mentre funzionari contigui alla P2, attivi presso l’Ufficio Italiano
Cambi, concedevano autorizzazioni e crediti […] Il Sudamerica era il perno di
tutte le operazioni sporche che Calvi e l’Ambrosiano dovevano compiere per
conto di diversi clienti, ma era anche lo scenario di una guerra a bassa
intensità condotta dagli Stati Uniti, nella quale la Chiesa era un prezioso
alleato. “Quella del Sudamerica” racconta Carlo Calvi “non era tanto una scelta
voluta in particolare da mio padre, che tendeva sempre a coprirsi in tutte le
direzioni, ma era dovuta al fatto che c’era, in Argentina e in Uruguay, una
presenza forte di Gelli e di Ortolani. Ma è difficile dire chi rappresentava
veramente Ortolani in quel contesto: se si muoveva per altri o per conto
proprio. Così come non è facile stabilire se questi pagamenti avvenivano perché
vi era una scelta politica del Vaticano di fare da schermo per i versamenti
attraverso le società panamensi. Quello che posso dire è che dove mio padre
aveva un ruolo preponderante, come in Perù e in Argentina, c’era un notevole
aspetto pragmatico. In Perù c’erano pagamenti di natura politica: mio padre
finanziava ministri, gruppi bancari, una parte delle forze armate; tutta questa
gente gli era molto vicina, erano pagati dal Banco. Venivano pagati attraverso
le società panamensi controllate dal Vaticano” […]
Roberto Calvi conobbe
Umberto Ortolani, intimo amico di Licio Geli, nel 1974. Nato a Viterbo nel
1913, divenuto avvocato Ortolani acquisì l’Agenzia di Stampa Italia, che poi
rivendette all’ENI; in seguito rilevò l’agenzia Stefani (poi divenuta ANSA). Fu
la conoscenza con il cardinale Giacomo Lercaro ad aprirgli le porte del
Vaticano. Verso la fine degli anni Cinquanta i suoi interessi si rivolsero al
Sudamerica, in particolare all’Uruguay, dove rilevò, con l’aiuto del Vaticano,
una piccola banca. Nei primi anni Settanta si iscrisse alla Loggia massonica
P2. Il fatto che un cattolico in vista come Ortolani si iscrivesse a una loggia
massonica non destò particolari problemi in Vaticano. Esistevano all’interno
della Curia romana alcuni settori che avevano rapporti di cordialità e
collaborazione con il mondo della massoneria, a dispetto dell’apparente
incompatibilità tra fratellanza massonica e credo cattolico. Dei rapporti tra
il Vaticano e la massoneria esiste più di un riscontro documentale: il generale
della guardia di finanza Fulberto Lauro, iscritto alla Loggia P2, ha dichiarato
alla Commissione parlamentare d’inchiesta che alla loggia di Gelli aderivano
anche vescovi e cardinali. Affermazioni analoghe sono state rese dal generale
dei carabinieri Franco Picchiotti, segretario organizzativo della P2, il quale
ha confermato che della loggia facevano parte anche alcuni cardinali […] Nelle
sue memorie Licio Gelli descrive i suoi buoni rapporti “con eminenti prelati…
avevo accesso agli appartamenti privati del pontefice Paolo VI, a Castel
Gandolfo e in Vaticano”. Frequentazioni che irritavano i settori più ortodossi
della Curia. Risalirebbe proprio agli inizi degli anni Settanta lo scontro di
potere tra quella che potremmo definire la fazione progressista – con simpatie
massoniche – artefice della ventata di rinnovamento portata dal Concilio
Vaticano II, e quelli che in Vaticano favorivano l’ascesa dell’Opus Dei,
interprete di una tradizione molto più rigida e tradizionalista […] Il
sodalizio tra Ortolani e Gelli si sviluppò con estremo successo: Gelli curava i
rapporti internazionali e procacciava affari, mentre Ortolani rappresentava la
mente finanziaria delle operazioni avallate dal Vaticano. Ortolani aveva
imparato molto presto il valore delle informazioni riservate: durante la
seconda guerra mondiale era a capo di due unità operative del servizio segreto
militare italiano dedite al controspionaggio […] I suoi eccellenti rapporti con
il Vaticano risalgono al 1953, quando fu presentato al cardinale Lercaro.
Questi esercitava un’enorme influenza nella Chiesa ed era destinato a diventare
uno dei quattro moderatori del Concilio Vaticano II. Era considerato un
liberale illuminato, capace di contribuire alla realizzazione di molte delle
riforme promosse dal Concilio. Durante gli incontri preparatori del conclave
che elesse Paolo VI, Giovanni Battista Montini, il problema centrale era se si
dovesse continuare l’opera di papa Giovanni XXIII o se il papato doveva
piuttosto ritornare alla matrice (reazionaria) di Pio XII. I liberali avevano
bisogno di un luogo sicuro per discutere la strategia da adottare. Il cardinale
Lercaro chiese a Ortolani di ospitare l’incontro, che si tenne nella sua villa
a Grottaferrara. Questo incontro segreto fu determinante per l’elezione di
Montini. Pochi mesi dopo il nuovo Papa concesse a Ortolani l’onorificenza di
Gentiluomo di Sua Santità, il primo di una serie di riconoscimenti ricevuti dal
Vaticano. Ortolani riuscì perfino a far affiliare Gelli, che non era cattolico,
all’Ordine dei Cavalieri di Malta e del Santo Sepolcro, del quale lui faceva
già parte. Amico intimo del cardinale Agostino Casaroli, Ortolani procurò a Gelli
importantissime entrature in ogni ambiente della Santa Sede […] “Ortolani
collaborava con gli americani nel periodo in cui dovevano influenzare le
attività sindacali e la politica italiana”. Carlo Calvi ritiene in pratica che
Ortolani sia stato una figura chiave di quell’atlantismo vaticano di cui papa
Montini fu interprete e sostenitore, ed è fermamente convinto che
l’avvicinamento di suo padre al mondo dell’editoria e all’universo
Rizzoli-Corriere della Sera sia dovuto proprio alle sollecitazioni provenienti
da Umberto Ortolani […] Roberto Calvi vide in Ortolani una figura che poteva
tornargli estremamente utile perché, credeva, gli avrebbe dato la possibilità
di stringere legami con mondi tra loro apparentemente lontani. Chiedo a Carlo
Calvi se Ortolani rappresentasse il vero punto di contatto tra Vaticano e
massoneria. “Secondo me sì. Ortolani in tutto questo gioco era più importante
di Gelli. Aveva un rapporto molto più stretto con mio padre, anche dal punto di
vista operativo e nello sviluppo delle strategie. Gelli serviva più a mantenere
i contatti tra le persone, anche a livello internazionale. Mio padre e Ortolani
li ho visti insieme più volte e andavano molto d’accordo, mentre in casa Gelli
non veniva mai nominato, non veniva mai da noi. Certo, si sapeva che Gelli
esisteva, anche perché telefonava spesso presentandosi con strani pseudonimi
[…] Tra mio padre e Sindona c’era un contatto che era completamente
indipendente da Gelli e Ortolani. Era un giro completamente diverso da quello
di Gelli e Ortolani […] È interessante quello che mio padre afferma durante le
sue deposizioni al primo processo valutario, quando in un interrogatorio dice:
‘Non sono io che controllo il Banco’. È tutto vero, quegli interrogatori sono
realmente avvenuti. Una notte gli inquirenti chiedono in modo pressante a mio
padre: ‘Allora chi controlla il Banco?’. È lì che mio padre comincia a
distruggere Ortolani, a incolparlo dei suoi problemi. Poi, quando esce di
prigione, subisce forti pressioni e ritratta”. In quella confessione, resa
nella notte tra il 2 e il 3 luglio 1981 nel carcere di Lodi, Roberto Calvi
parla di Ortolani e del PSI. Parla delle connessioni tra l’Ambrosiano e quel
giro di affaristi di matrice socialista in cui si muovevano figure di primo
piano come il direttore finanziario dell’ENI Florio Fiorini, ma in cui
nuotavano anche imprenditori in forte ascesa come Silvio Berlusconi […] Il
lavoro compiuto dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2 si è
rivelato senza dubbio di estrema importanza, tuttavia ha semplificato
eccessivamente l’analisi dei fatti, riducendo quello che è stato uno dei casi
più emblematici della storia finanziaria italiana ed europea all’azione
perversa di una potente loggia massonica. Oggi i magistrati che si occupano del
processo Calvi leggono il ruolo della P2 in chiave diversa, come interfaccia di
un incredibile intreccio di affari e di riciclaggio di denaro sporco di origine
mafiosa […] Perché a un certo punto Roberto Calvi sente il bisogno di stabilire
contatti con la massoneria? “L’avvicinamento di mio padre alla massoneria e
alla P2 in particolare deriva dal fatto che lui era poco ‘politico’, aveva più
che altro capacità aziendali. Si sentiva insicuro rispetto a certi mondi,
quelli legati ai partiti politici, così come nei confronti di una certa finanza
laica. Proprio le sue doti, che gli permettevano di riportare validi successi
in ambito strettamente operativo, attiravano su di lui l’attenzione interessata
di diversi ambienti dai quali ha cominciato a subire pressioni […] Non è che
mio padre si sia rivolto subito alla massoneria. All’inizio ha coltivato
rapporti amichevoli con alcuni uomini politici […] Anche con la massoneria,
come con il mondo politico, il rapporto in seguito si è guastato. Il processo
per reati valutari del 1981 è stato il suo tallone d’Achille. Lì il rapporto è
cambiato” […] Carlo Calvi parla dell’insicurezza del padre di fronte alla
finanza laica. Il banchiere venuto dal nulla e cresciuto grazie alla sua
inarrestabile forza di volontà, abituato a trattare con interlocutori curiali,
era vittima di tutta una serie di complessi e si sentiva scoperto di fronte
agli attacchi e alle critiche provenienti da ambienti diversi dai suoi. “C’è un
episodio, ad esempio, che ebbe un enorme effetto su di lui. Fu quando Ugo la Malfa,
all’epoca ministro del Tesoro, mosse le sue prime denunce contro i ‘golpisti
della Borsa’. Mio padre si sente attaccato, pensa di avere come avversari
persone che non aveva mai considerato ostili: gli esponenti di punta della
finanza laica. È per questo che decide di rivolgersi a Gelli e Ortolani. Quelle
critiche le vive come un attacco inaspettato, un pericolo per la sua carriera.
È la fase immediatamente successiva all’Opa sulla Bastoni condotta da Sindona”
[…] Nel periodo tra la nomina a direttore centrale capo nel 1970 e a direttore
generale nel 1975, Roberto Calvi si spinge oltre le scelte del suo mentore
Canesi sul fronte strategico delle alleanze estere. Si adopera affinché una
banca del Lussemburgo lo faccia entrane nel suo consiglio di amministrazione.
Lì conosce un brillante banchiere, Gérard Soisson, che in quel periodo andava
ideando il primo sistema di clearing internazionale, ovvero la camera di
compensazione delle transazioni finanziarie denominata CEDEL, una società
privata che nel 1999 diventerà Clearstream. Calvi e Soisson diventano amici. Il
banchiere milanese coglie al volo le potenzialità di questo nuovo sistema di
transazioni e l’Ambrosiano diviene uno degli azionisti-correntisti principali
di CEDEL. Calvi si rende anche perfettamente conto che il Lussemburgo diventerà
presto una delle capitali mondiali dei flussi finanziari coperti e per questo
cerca un’ulteriore legittimazione tra i ristretti circoli del potere
finanziario del granducato. Viene ammesso in una delle principali logge massoniche
lussemburghesi, della quale facevano parte anche alcuni dirigenti di CEDEL […]
Nel corso degli anni Settanta CEDEL diviene uno dei principali canali
finanziari per le operazioni compiute dall’Ambrosiano a favore e per conto
dello IOR, ma anche su moli altri fronti delicati, come la rete delle società
panamensi e le operazioni in Sudamerica. Calvi, attraverso il sistema CEDEL,
ottiene un doppio risultato: da un lato la segretezza e l’invisibilità delle
sue acrobatiche movimentazioni di capitale (solo alcuni conti erano accessibili
alle autorità pubbliche, mentre gli altri erano denominati “non pubblicati” e
occultati grazie a una contabilità parallela); dall’altro la possibilità di
mantenere una prova che certi trasferimenti di denaro lui li aveva compiuti,
magari per conto del Vaticano o di altri potenti gruppi imprenditoriali. Un
formidabile strumento di ricatto potenziale. In CEDEL infatti rimaneva e resta
una traccia contabile di tutti i valori transitati […] Nel 1980, quando ormai
il sistema di clearing era perfettamente avviato, Soisson organizzò una delle
riunioni mensili del consiglio di amministrazione di CEDEL a Roma, negli uffici
dello IOR […] La camera di clearing CEDEL era sorta intorno a un gruppo di
banche situate in diverse parti del mondo, soprattutto in Inghilterra e in
Lussemburgo, ma anche in Francia, in Germania, in Belgio, in Spagna, in Italia,
in Olanda, in Svizzera, negli USA e in numerosi paradisi fiscali. All’inizio le
banche interessate erano circa un centinaio e formavano una specie di
cooperativa interbancaria. Oggi le banche partecipanti sono più di duemila e
rappresentano oltre cento Paesi. Il meccanismo inventato consiste nell’offrire
ai propri clienti la possibilità di non apparire mai nelle loro transazioni
finanziarie internazionali. Questi clienti possono essere banchieri, manager di
società dì investimenti, prestanome a capo di società off shore, privati che
cercano di defiscalizzare una parte della loro fortuna, militari a capo di
servizi segreti, così come anche direttori generali di imprese multinazionali.
I motivi per occultare questi movimenti bancari sono molteplici e possono
andare dalla semplice ricerca di discrezione nell’ambito di operazioni
commerciali al riciclaggio di denaro sporco. Si può valutare il movimento
finanziario legato alla nascita delle società di clearing in centinaia di
miliardi di dollari. Poco importa tuttavia la quantità di zeri, importante è
capire come un sistema all’inizio sano, il cui scopo era agevolare gli scambi
bancari internazionali, sia stato sviato dai suoi obiettivi di partenza. La
vicenda CEDEL presnta risvolti oscuri e inquietanti legati al crack
dell’Ambrosiano. L’ideatore del sistema, Gérard Soisson è morto in circostanze
misteriose in Corsica nel 1983, un anno dopo Roberto Calvi […] Calvi, Soisson e
il nucleo dei fondatori di CEDEL sono i primi a capire che il denaro si è
smaterializzato e che il problema di tutti coloro che possiedono capitali è
sempre quello di investirli, di convertirli in titoli. Ma anche questi titoli sono
smaterializzati, hanno perso di fatto il loro supporto cartaceo. Milioni di
titoli sempre più virtuali sono scambiati ogni giorno grazie alle società di
clearing […] Oltre all’entità delle cifre l’aspetto fondamentale del sistema è
la fiducia tra due parti che il più delle volte nemmeno si conoscono. Qui
interviene il clearing cioè la garanzia della solvibilità delle parti e la
registrazione in un dato luogo in documenti precisi e concretamente visibili
che lo scambio è avvenuto. Le società di clearing sono i notai del mondo
contemporaneo […] Soisson muore dopo aver bevuto una tazza di caffè avvelenato.
Anche i rapidi movimenti per riportare la salma dalla Corsica, luogo del
decesso, fino in Lussemburgo, destano qualche sospetto […] Se quello della rete
off shore, dei movimenti occulti di capitali, delle contiguità pericolose con
ambienti che praticavano attività di riciclaggio è un filone centrale nella
vicenda Calvi-Ambrosiano, altrettanto importante è il capitolo che riguarda
l’editoria. Lo stesso Roberto Calvi più volte aveva attribuito l’origine dei
suoi problemi all’ingresso nel mondo della carta stampata. È una scelta che
Carlo Calvi conosce bene, avendola conosciuta direttamente e avendo frequentato
i suoi principali protagonisti. “La scelta di entrare in Rizzoli non era
dell’Ambrosiano, non fu una vera scelta di mio padre. Il piano originario era
quello di utilizzare Rizzoli come avamposto per un progetto il cui obiettivo
era quello di controllare la finanza e l’editoria italiana.
L’idea non era di
mio padre ma di Eugenio Cefis, presidente di Montedison, che a sua volta
l’aveva probabilmente mutuata da Enrico Mattei. Poi la vicenda si è molto
complicata, ma alla base di tutto rimane l’idea di Cefis, di cui più tardi si
approprierà Umberto Ortolani per conto del Vaticano” […] Nel 1974 hanno inizio
i primi colloqui tra la famiglia Rizzoli e i proprietari del Corriere della
Sera. Per i Rizzoli il grande quotidiano milanese rappresentava il sogno di tre
generazioni, ragion per cui appena si presentò l’occasione di rilevarne la
proprietà fecero tutto il possibile per portare a termine tale progetto. In
quel periodo il Corriere stava attraversando una fase difficile e, oltre alle
ingenti perdite che registrava, doveva affrontare anche un complicato problema
di gestione. Il quotidiano milanese era infatti posseduto in parti uguali da
Giulia Maria Crespi, dalla FIAT e da Angelo Moratti per conto dell’ENI, ma il
controllo effettivo era affidato prevalentemente alla signora Crespi […] I
Rizzoli, in quegli stessi anni, erano arrivati alla terza generazione
imprenditoriale. Il nonno Angelo aveva iniziato l’attività partendo con una
piccola tipografia e arrivando, nel corso degli anni Sessanta, a possedere il
più importante gruppo editoriale italiano. Alla sua morte, nel 1970, il
controllo dell’azienda di famiglia era passato al figlio Andrea, mentre si
affacciava sulla scena il giovane nipote Angelo Jr […] Dopo aver trattato con
Moratti i Rizzoli proseguirono con Agnelli, che si rese anche disponibile come
mediatore con Giulia Maria Crespi. L’acquisto fu deciso nel giugno del 1974 […]
I Rizzoli avevano comperato quasi a occhi chiusi e ora si accorgevano che era
difficile persino riuscire a pagare gli stipendi. Il Corriere, come singola
testata, guadagnava, ma l’azienda che vi ruotava attorno era prossima alla
crisi […] Cefis aveva promesso un sostegno finanziario all’azienda in crisi ma
poi se n’era andato dall’Italia nel 1977, per stabilirsi prima in Canada e poi
in Svizzera. Fu allora che nella casa editrice si impose la figura di Bruno
Tassan Din, che era stato chiamato da Rizzoli nel 1973 per occuparsi della
gestione finanziaria del gruppo, mai presa adeguatamente in considerazione né
dal fondatore Angelo né dal figlio Andrea […] I Rizzoli e Tassan Din partirono alla
ricerca di denaro. Provarono con le banche, con gli uomini politici, tutte le
porte rimanevano chiuse, raccoglievano solo promesse alternate a minacce. Poi,
inaspettatamente, Umberto Ortolani telefonò ad Andrea Rizzoli, già conosciuto
in passato, offrendo il proprio aiuto. Così si stabilì il contatto fra la
famiglia Rizzoli e la triade rappresentata da Ortolani, Gelli e Calvi […]
Ortolani, è bene ricordarlo, si muove anzitutto in nome e per conto del
Vaticano. La sua alleanza con la massoneria è del tutto strumentale […] Con
l’operazione di acquisto del Corriere della Sera la Rizzoli diviene un’azienda
in precario equilibrio finanziario che necessita di ingenti iniezioni di denaro
liquido. Proprio in questa faticosa operazione di reperimento di fondi i Rizzoli
si imbattono in Ortolani e Gelli e tramite loro, alla fine del 1975, arrivano a
Roberto Calvi, l’anno in cui Calvi entra in contatto con la massoneria e
diventa presidente del Banco Ambrosiano […] Secondo una testimonianza resa da
Angelo Rizzoli Jr alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2, sembra
che Ortolani abbia invitato Rizzoli, accompagnato da Tassan Din, nel suo studio
per scambiarsi gli auguri di Natale. Era presente anche Gelli insieme a Calvi e
ai massimi dirigenti del Monte dei Paschi di Siena e della BNL […] Su richiesta
di Ortolani Calvi concesse subito un’apertura di credito ai Rizzoli poi seguita
da ben più consistenti affidamenti, ma chiese anche qualcosa in cambio e cioè
una sponda per sistemare azioni dell’Ambrosiano all’estero, attraverso la
Cisalpine di Nassau e altre società del Banco e dei Rizzoli in Lussemburgo, nel
Liechtenstein e a Panama, alle quali faceva capo la United Trading Corporation,
società sotto il pieno controllo di monsignor Marcinkus […] Ortolani e Gelli si
servono di Calvi per coinvolgere il gruppo Rizzoli in diverse operazioni
imprenditoriali e finanziarie nonché nella distribuzione di tangenti ai partiti
politici, soprattutto alla DC e al PSI. Contemporaneamente vengono effettuati
interventi di sostegno o di acquisizione di numerose testate a carattere locale
(tra gli altri i quotidiani Il Mattino, Il Piccolo, L’Eco di Padova, Il
Giornale di Sicilia, L’Alto Adige, L’Adige) nell’ambito di un processo di
collegamento con il Corriere della Sera, con l’obiettivo di costituire un
gruppo mediatico compatto, destinato a raggiungere il maggior numero possibile
di lettori e influenzare così, in senso moderato e centrista, l’opinione
pubblica. In tutta questa complessa strategia, ancor più di Licio Gelli, il
vero demiurgo è Ortolani; era lui a suggerire le operazioni che dovevano essere
attuate dalla Rizzoli, con particolare predilezione per quelle nei settori
assicurativo e bancario, che dovevano portare liquidità all’azienda […] Il
controllo della Rizzoli e del Corriere della Sera, anche se a figurare come
azionisti di riferimento erano i membri della famiglia Rizzoli, era passato
nelle mani dei finanziatori esterni, ovvero dello IOR. Un successo dovuto
all’intervento di Roberto Calvi che in sostanza agì come tecnico e come
esecutore senza trarne alcun vantaggio né per sé né per il Banco Ambrosiano.
Nel 1978 Umberto Ortolani subentra ad Andrea Rizzoli nel consiglio di
amministrazione della Rizzoli (fatto peraltro documentato anche in sede di
Commissione P2) […] Verso la primavera del 1980 prende corpo l’operazione tesa
a rafforzare il ruolo di Ortolani e Gelli nel Corriere della Sera, attraverso
la presenza diretta nell’azionariato Rizzoli e del Corriere di una misteriosa
entità denominata “Istituzione”; il tutto doveva compiersi con i soldi
dell’Ambrosiano. Non esiste prova documentale che dietro l’Istituzione si celi
la P2, come invece si è sempre ritenuto. Ortolani tra l’altro ha sempre
rappresentato interessi legati al Vaticano. Negli archivi di Gelli è stato ritrovato
un rapporto sull’Opus Dei, elemento che attesta come il Venerabile guardasse
con attenzione alla potente organizzazione cattolica. Va inoltre osservato che
la P2 in quanto tale non disponeva di ingenti fondi propri da investire, era
prevalentemente un network incapace di mobilitare direttamente risorse proprie.
Si arrivò comunque alla redazione e all’approvazione del cosiddetto “pattone”.
Si tratta di un documento dattiloscritto di una dozzina di pagine nel quale
viene elaborato un programma di massima per le operazioni relative al nuovo
aumento di capitale della Rizzoli che venne siglato a Roma all’Hotel Excelsior
nel 1980 da Angelo Rizzoli Jr, Umberto Ortolani, Licio Gelli, Roberto Calvi e
Bruno Tassan Din. Al termine di un complesso movimento di capitali e di azioni
l’entità denominata Istituzione avrebbe disposto del 49,8% del capitale, il
10,2% sarebbe stato intestato a una fiduciaria che faceva capo a Tassan Din e
il rimanente 40% sarebbe rimasto in mano ai Rizzoli. I costi di
quest’operazione se li sobbarcò per intero il Banco Ambrosiano. Ortolani, Gelli
e Tassan Din intascarono premi multimiliardari, sempre a carico
dell’Ambrosiano. Carlo Calvi spiega: “Molti di questi fondi versati dal Banco
Ambrosiano per la Rizzoli furono distratti da Ortolani e da Tassan Din. Ma
dietro tutto questo c’è anche l’idea di mantenere un controllo dall’esterno
sulla Rizzoli, che poi non fu più possibile a causa del cambiamento della legge
sull’editoria che fu varata nell’agosto 1981” […] L’opinione pubblica si
interessò al duo Ortolani-Gelli quando, nell’autunno del 1979, scoppiò lo
scandalo ENI-Petromin. Si trattava di un contratto per la fornitura di petrolio
che l’ENI aveva siglato con Petromin, l’ente dell’Arabia Saudita, e per il
quale era stata pagata una tangente mascherata come spese di consulenza,
versata a una società panamense che faceva capo all’Ambrosiano. L’ENI avverte
il ministero del Commercio estero di avere stipulato un vantaggioso contratto
con l’Arabia Saudita per la fornitura di greggio all’Italia e di dover pagare
una provvigione a una società di brokeraggio internazionale che ha condotto
l’operazione. Il ministro si congratula con il presidente dell’ENI,
sottolineando la soddisfazione del presidente del Consiglio Andreotti. Il
pagamento di questa robusta tangente era stato protetto dalla contemporanea
presenza all’interno del ministero per il Commercio estero di due appartenenti
alla P2 tra cui il ministro stesso […] Dalle indagini condotte all’interno
dell’ENI emerse che l’ente petrolifero finanziava la holding lussemburghese
dell’Ambrosiano e che buona parte dei crediti forniti dall’ENI erano stati
usati per finanziare alcune partecipazioni estere del Banco Ambrosiano in gravi
difficoltà finanziarie. Ecco una delle ragioni per le quali, secondo Carlo
Calvi, dopo la carcerazione dell’estate ’81 a Lodi, nel corso della quale il
presidente dell’Ambrosiano comincia a parlare dei partiti, Craxi e Andreotti si
trasformano in suoi nemici, tanto da decretarne, d’intesa con il Vaticano, la
caduta. Se infatti al processo d’appello previsto per l’estate del 1982 Calvi,
come promesso, avesse cominciato a parlare delle maxitangenti l’asse della
Prima Repubblica avrebbe potuto vacillare. Il Banco Ambrosiano Holding poté in
effetti contare su cospicui crediti concessi dall’ENI, le cui figure di
riferimento all’epoca erano in quota PSI. Ed è noto che Calvi finanziò il PSI
nonché altri partiti […] È Siegenthaler a gestire i flussi di denaro che
dall’ENI arrivano alle società estere del Banco Ambrosiano per poi finire chissà
dove […] In aiuto di Calvi, che intanto continua a girare soldi allo IOR e a
finanziare l’editoria e i partiti, viene anche la BNL del banchiere piduista
Alberto Ferrari […] Al momento del crack dell’Ambrosiano l’ENI e la BNL
risulteranno i due maggiori creditori […] Alla fine del 1979 la situazione di
Calvi e dell’Ambrosiano, oberato da una mole di impegni finanziari superiore
alle sue possibilità, diventa sempre più insostenibile. Il banchiere gioca
ancora una volta la carta della ricapitalizzazione, ma in questa fase, per
effetto del drenaggio effettuato dallo IOR, dal duo Ortolani-Gelli e da altre
operazioni, i bilanci sono in forte perdita. Roberto Calvi si rende
perfettamente conto della debolezza della sua posizione e avverte la necessità
di appoggiarsi sempre più ai partiti politici. Finanziava il PSI dal 1975, il
PSDI dal 1979, il PCI dal 1980 […] Nella primavera del 1980 il PSI aveva
accumulato un’ingente esposizione nei confronti del Banco Ambrosiano che ne
aveva sollecitato più volte, senza successo, il rientro. Claudio Martelli,
deputato dal 1979, chiese a Gelli di interessarsi della questione presso Calvi.
Il presidente dell’Ambrosiano fece presente a Gelli che era disposto a venire
incontro al Partito Socialista Italiano, in cambio di nuovi, futuri depositi
effettuati all’estero a favore dell’Ambrosiano dal gruppo ENI. L’operazione
venne approvata dai vertici del PSI e vennero fornite a Calvi le coordinate di
un conto in Svizzera su cui fare accreditare gli importi che l’Ambrosiano
avrebbe bonificato. Da parte sua il partito si impegnava a usare tali importi
per rientrare dall’esposizione che aveva in Italia con lo stesso Banco
Ambrosiano. Il conto era presso l’UBS di Lugano. Era il famoso “Conto
Protezione” […] In seguito il PSI non restituì, se non in minima parte, i fondi
che aveva ricevuto in prestito dal Banco Ambrosiano. Con i soldi
dell’Ambrosiano la corrente craxiana vinse il successivo congresso di Palermo
del maggio 1981 in cui venne eletto vicesegretario Claudio Martelli. Il 1 giugno
1981 i giudizi Fenizia e Viola inoltrarono una rogatoria alla Camera dei
ricorsi penali di Lugano e al giudice istruttore del tribunale di Lugano nella
quale si chiamavano in causa i vertici dell’ENI, Martelli e Calvi, con le
ipotesi di reato di concorso in peculato, corruzione aggravata, interesse
privato in atti d’ufficio. La rogatoria passò da Milano al porto delle nebbie
romano e nel settembre 1981 la Procura della capitale ottenne la competenza di
tutte le inchieste sulla P2. Nel giugno 1983 l’inchiesta sul “Conto Protezione”
venne archiviata […] Con Carlo Calvi ho approfondito una delle piste
mancanti nella ricostruzione del caso Calvi-Ambrosiano: il ruolo dell’Opus Dei.
Negli anni in cui il banchiere di Dio siede ai vertici della finanza italiana,
due fazioni si scontrano all’interno del Vaticano. Obiettivo: promuovere un
nuovo indirizzo di pensiero e una linea d’impegno politico ma anche controllare
le finanze vaticane. Partiamo dal 1978. Il Vaticano è scosso dal rapido
avvicendamento di tre Papi. Il 6 agosto muore l’ottantenne Paolo VI, papa
Montini.
Il 26 agosto viene eletto Papa Albino Lucani, patriarca di Venezia,
che assume il nome di Giovanni Paolo I. poco più di un mese dopo la sua
elezione, nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1978, Giovanni Paolo I muore
per un infarto del miocardio (mai clinicamente documentato: il corpo venne
subito imbalsamato senza essere sottoposto ad autopsia) e il 16 ottobre viene
eletto Papa l’arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla che assume il nome di
Giovanni Paolo II. Si è molto discusso a proposito delle intenzioni di papa
Lucani di promuovere un’azione di rinnovamento nell’ambito della gestione delle
finanze vaticane di cui aveva una buona conoscenza. In effetti, quando era
patriarca a Venezia, Lucani aveva duramente protestato per la cessione della
Banca Cattolica del Veneto dallo IOR all’Ambrosiano. Marcinkus ne aveva
ordinato la cessazione delle attività e la sua integrazione all’interno
dell’Ambrosiano senza né consultare né informare il consiglio d’amministrazione
della banca che veniva assorbita. La Banca Cattolica del Veneto era anche
l’istituto al servizio del patriarca di Venezia e il suo punto di riferimento
era proprio Albino Lucani. Marcinkus aveva reagito con sdegno e rabbia alle
intromissioni nel suo operato, essendo ormai abituato a gestire lo IOR con
metodi autocratici; inoltre aveva tessuto una fitta rete di rapporti con la
massoneria e per questo non gradiva che un Papa di orientamento più
conservatore sui temi della gestione finanziaria mettesse il naso nella
spericolata costruzione cui aveva dato vita insieme a Roberto Calvi. Di qui lo
scontro […] Riguardo al vento nuovo che Giovanni Paolo I avrebbe portato, vanno
eliminate alcune semplificazioni: si ritiene che volesse dar vita a un pontificato
basato su una concezione ispirata all’opera di Giovanni XXIII, “il Papa buono”,
da cui mutuò la prima parte del nome, e che alla sua nomina fossero estranee
cordate di potere all’interno del Vaticano. Di conseguenza, si crede che se
fosse vissuto più a lungo avrebbe fatto piazza pulita di molte ambigue
contiguità. In realtà la nomina di Albino Lucani non nasceva dal nulla, era
piuttosto il frutto di un forte movimento che, dopo le nuove prospettive aperte
dal Concilio Vaticano II, pretendeva una “restaurazione”. Proprio sulla base di
questa linea conservatrice la candidatura di Albino Lucani era ben vista e
sostenuta dall’Opus Dei: già prima del suo pontificato, infatti, Lucani
espresse pubblicamente forte appoggio all’Opus Dei, che aveva invece trovato resistenze
in Paolo VI, il quale aveva negato ripetutamente all’Opera la possibilità di
ottenere la prelatura personale […] Si può ritenere che Montini rappresentasse
una fazione di tecnocrati illuminati, aperti alle innovazioni del Concilio
Vaticano II, che contrastavano il tentativo di restaurazione dell’armata
integralista e conservatrice rappresentata dall’Opus Dei. Distinzioni sottili
ma importanti. Queste due anime della Curia romana e della finanza cattolica si
contendevano aspramente il primato, con risultati che si propagano sino ai
giorni nostri […] In ogni caso, da uno scritto di Albino Lucani, nel quale il
patriarca di Venezia tesseva apertamente le lodi dell’Opera e della sua
concezione della vita laicale ed ecclesiale, si desume che se fosse rimasto sul
soglio di Pietro, Giovanni Paolo I avrebbe presto concesso la prelatura
personale all’Opus Dei e ne avrebbe seguito le indicazioni su importanti
questioni […] A riconoscere questi fatti sono persino i vertici dell’Opus Dei.
Monsignor Alvaro del Portillo, successore di Escrivá de Balaguer alla guida
dell’Opera, in una lettera del 23 aprile 1979 alla Sacra Congregazione per i
vescovi ha rivelato: “Sua Santità Giovanni Paolo I manifestò nel settembre 1978
la volontà che si procedesse a dar l’auspicata soluzione al nostro problema
istituzionale. E il 15 novembre 1978, nel trasmettermi una lettera autografa
augurale del Santo Padre Giovanni Paolo II per il 50° anniversario dell’Opera,
il compianto Cardinale Segretario di Stato Jean Villot mi comunicò che Sua
Santità considerava un’indilazionabile necessità che sia risolta la questione
di una sistemazione giuridica dell’Opus Dei”. L’intenzione di Albino Lucani di
rimuovere Marcinkus dallo IOR, imprimendo una nuova direzione alle finanze
vaticane, non era dovuta soltanto a un semplice desiderio di pulizia e
correttezza, quanto a un preciso disegno di matrice opusiana che intendeva
affidare il delicato capitolo della gestione delle finanze della Santa Sede a
figure più affidabili, sia all’interno sia all’esterno del Vaticano […]
All’inizio degli anni Settanta l’arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla, mentre
partecipava a Roma ad alcuni convegni presso il centro per i sacerdoti
dell’Opera, entrò in contatto con la medesima. Il 13 ottobre 1974 Wojtyla tenne
una conferenza al Centro della residenza universitaria internazionale di Roma
dell’Opus Dei, sul tema “L’evangelizzazione e l’uomo interiore”. L’intesa tra
l’Opera e l’arcivescovo di Cracovia, cementata dall’anti-marxismo radicale,
dalla devozione mariana e dall’integralismo teologico, crebbe nel tempo […] Dal
1969 al 1973 l’Opus Dei andò in pratica al potere in Spagna con i tecnocrati
del governo dell’ammiraglio Carrero Blanco, che gestì abilmente il lungo
autunno del franchismo; ma anche in Francia l’espansione dell’Opus Dei era
indiscutibile […] In Italia l’ingresso e l’espansione dell’Opera sono legati
alle iniziative di monsignor de Balaguer che si trasferì a Roma nel 1946 ed
esercitò una forte azione proseguita poi tramite i suoi inviati, ultimo il
vescovo attualmente alla guida, Javier Echevarria Rodriguez. Il rapporto
dell’Opus Dei con la massoneria è sempre stato improntato alla conflittualità e
all’antagonismo, ma si sono evoluti nel corso degli anni. Se all’epoca di Calvi
lo scontro era pressoché totale, ora le posizioni si sono ammorbidite. Negli
ultimi anni è maturata una tregua non priva di forme di collaborazione […] Nel
1978, quando con il sostegno decisivo dell’Opus Dei Wojtyla è eletto pontefice,
si realizza una situazione singolare: l’Opera prende sempre più peso nelle
vicende vaticane configurandosi rapidamente come una fazione compatta e
potente, tendenzialmente ostile a Marcinkus. Quest’ultimo, secondo quanto
pubblicato da OP di Mino Pecorelli, faceva parte della Loggia Ecclesia, data di
affiliazione 21 agosto 1967, matricola 43/649, che avrebbe annoverato tra i
suoi iscritti anche i cardinali Baggio, Pappalardo, Poletti, Villot, il
segretario di Paolo VI Pasquale Macchi e il vicedirettore dell’Osservatore
Romano. Il nuovo pontefice, pur dovendo riconoscenza all’Opera per il suo
appoggio determinante nello svolgimento del conclave, non se la sentiva di
rimuovere Marcinkus dal suo incarico perché Marcinkus e Calvi erano funzionali
alla sua politica di indebolimento del blocco comunista, sia nell’Europa
dell’Est sia in America Latina. Marcinkus, fervente anticomunista, vicino ad
ambienti atlantici favorevoli all’interventismo nei Paesi dell’Est europeo, era
lo strumento ideale per la politica di disgregazione del blocco sovietico del
quale faceva parte la Polonia […] Nonostante l’appoggio di Giovanni Paolo II
all’Opera stessa e alle sue istanze di una svolta conservatrice, l’Opus Dei fu
costretta a tirare il freno e convivere con una situazione che non era di suo
gradimento. Dovette accettare obtorto collo che un banchiere iscritto alla
massoneria fosse il punto di riferimento del Vaticano […] Almeno a partire dal
1978 l’Opera affiancò nel tempo a Calvi uomini come Siegenthaler, direttore del
Banco Ambrosiano Overseas di Nassau, che ha svolto un ruolo di rilievo nel
trasferimento del tesoro dell’Ambrosiano verso i paradisi fiscali panamensi
dov’erano situate le controllate dello IOR […] Racconta Carlo Calvi: “Ci sono
state molte persone che hanno svolto la funzione di tramite diretto tra l’Opus
Dei e l’Ambrosiano, in particolare l’avvocato svizzero Wiederkeher che ha
creato molte delle società panamensi che figurano nelle famose lettere di
patronage di Marcinkus. L’Opus Dei era già presente prima della fase finale
della vita di mio padre, quando l’Opera tornerà prepotentemente sulla
scena”.
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da Ferruccio Pinotti, Poteri forti, 2005 Rizzoli