Tutto bene una sega. Il Milan col Manchester mi ha messo la voglia di esser milanista, pensa come sto messo. Che hai da brontolare, dirai. Non lo dici ma lo pensi. Se non lo pensi nemmeno, ci penso io al posto tuo. Mi penso un po’. Son talmente ingrassato che sembro il direttore di Studio Aperto, a mio parere la trasmissione televisiva che meglio inquadra il periodo che stiamo passando. Mario Giordano quando era grasso, senza bacio accademico né direzione particolare, questo son diventato. Son bolso. Bastasse questo. Ho comprato una macchina per fare la ginnastica, circa un anno fa. L’ho usata per una settimana, in modo intensivo. Poi mi sono venute le verruche ai piedi. Sono vesciche, precisò mia moglie osservandole. Fanno male uguale, volli puntualizzare a mia volta. Avresti dovuto indossare le scarpe per fare l’esercizio, mi spiegò. Aveva ragione, naturalmente. Solo che non ci avevo pensato e mi ero allenato intensamente tutte le sere dopo il lavoro, prima di cenare. Un’ora a correre ellitticamente sulla macchina posizionata nello studio, nudo a parte le calze di spugna. Che spettacolo. Sudavo copiosamente, mi entrava il sudore negli occhi e bruciava. Continuavo a correre accecato dal sudore. Mi avrebbe rimesso in sesto, pensavo. Così vennero le vesciche e smisi di correre, in attesa che passassero. Quelle a un certo punto scoppiarono e io recitai il rosario delle bestemmie silenziose. Soffrivo quando dovevo indossare le scarpe per andare al lavoro, la mattina. Nonostante la pomata i cerotti e il cotone. Camminavo come uno storpio fino alla stazione ferroviaria. Poi dalla stazione di destinazione al posto di lavoro. Iniziavo a lavorare in lacrime. Fosse stato solo per il fatto che son grasso, non starei qui a scassare la minchia al mondo. Mi è scesa un’emorroide. Ci sono momenti che è peggio delle vesciche. Una delle cose di cui ho menato sempre vanto è la quantità di merda che riesco a produrre. L’inno del corpo sciolto sembra composto appositamente per le mie corde. Ecco, mettiti al mio posto sul cesso, situazione che ho sempre trovato piacevole e distensiva. Inizia a spingere la cacca per farla uscire. Poi affronta la fitta lancinante che parte dal culo e finisce per infrangersi fragorosa nel cervello. Passerebbe la voglia di leggere pure a te. Dire che di cose da leggere ne avrei. Chi se ne frega. Cago sangue, questo è quanto. Mica tutto, però. Non la faccio così facile. Non mi scomodo per così poco. Sono complessivamente invecchiato, tipo di botto. Quando ero un bambino, una volta mia madre mi disse che ero due anni avanti nello sviluppo rispetto agli altri compagni di classe, per questo mi crescevano i peli da certe parti. Quando iniziai a lavorare, una signora sul treno mi disse che sembravo un ragazzino. Per cui ho convissuto per anni con l’idea di essere più avanti degli altri, riuscendo a dissimularlo. Adesso che ho i capelli grigi dovrei fingere un po’ di saggezza, o quanto meno di disincanto. Invece mi vedo vecchio al di là dello specchio, incapace di sentirmi adulto. Un adulto non può arrivare impreparato, giusto? Un adulto è tale in quanto si attrezza per tempo, esatto? Sembri un bambino vecchio, mi disse una, anni fa. Non le credetti. Adesso un po’ sì. Se ci penso ancora un poco, poi magari la mando a fare in culo, perché non è mai tanto bello sbattere la realtà in faccia alle persone, quando queste non sono pronte ad affrontarla. Se le becchi impreparate, se le fai sentire inidonee, poi le persone ti odiano perché le hai rese fragili. Anche se hai ragione. Che palle che siete, adulti finché non vi si chiede di esserlo per una volta. Facile quando tutto vi va bene. Metti un coglione come me, che vota a sinistra, quando ha voglia di votare. Cos’ho da lamentarmi, io, a parte qualche callo, una panza da Bibendum, certe mattine di alitosi mentre impreco sul cesso, la forfora sulle spalle e l’occhio storto? Mh, adesso che mi ci fai pensare, il lavoro non gira. Da circa un anno mi tocca fare coppia con una donna con cui non ho mai legato. È un eufemismo. In pratica ci detestiamo. Per me lei di più, nel senso che si impegna molto più di me nell’odiarmi. Già ci son io, che non concordo quasi mai con me stesso. Ci si è messa pure quella. Che ne sa lei, che è di Varese. Guarda che non c’è nulla da scherzare: è la prima volta che detesto veramente una donna, a parte mia madre quando ero piccolo, ma quello sta nell’ordine delle cose freudiane e non ci si fa più tanto caso. Un po’ mi piace ‘sta cosa del non sopportare una donna e farglielo capire ogni momento del giorno. Sa tanto di prassi paritaria. Non fosse che quella è il mio superiore diretto, il mio responsabile, insomma il mio capo. Lunghissime le giornate che passiamo insieme, a detestarci in silenzio, quando non va in scena un alterco vivace e andante, per il piacere dei palati fini di quegli amanti del melodramma che sono i nostri colleghi di lavoro. La ristrutturazione in corso dovrebbe permettere la nostra separazione a breve, ci rassicurarono mesi fa. Intanto che aspettiamo giochiamo alla guerra, visti i tempi che corrono e le mode che incombono sulle nostre teste. Va beh, tutto sarebbe niente, non fosse che l’altra sera ho guardato mia moglie negli occhi, quei suoi bellissimi occhi felini, verdi col sole e quasi nocciola quando piove, l’ho guardata come da tempo non mi capitava di guardarla, e poi le ho detto: siamo a maggio, quest’anno non mi hai ancora detto una sola volta ti amo. Lo so, ha risposto lei. Non ci siamo detti altro. Ho guardato la televisione sul divano, senza capire cosa mandava. Dunque: facciamo l’amore molto meno di una volta, quella mitica volta che esiste o è esistita in ogni rapporto affettivo. Io lo faccio peggio. Durata intensità varietà curiosità passione sfrontatezza e libertà, perdo su tutti i fronti. Non l’ho mai portata in macchina a Como, di sera, d’estate, sul lungolago, il caldo le persone, fare un giro prendere un gelato. Niente. Forse andremo al mare a giugno, per il resto nel 2007 le ho solo proposto di andare alla mostra di Klee a Milano. Un po’ poco, lo ammetto. Ha pure detto di no, nonostante Klee piaccia anche a lei. Che ore sono? Magari mangio le lasagne, quelle le mangerei pure da morto. Gnek gnek! i miei marci morti denti mangiucchiano lasagne che non vengono inghiottite ma crollano nella cassa toracica in direzione di un culo essiccato dai tempi passati. Mi ci vedo a mangiar lasagne da cadavere scheletrito. Come avrai capito, ormai, sono depresso. La condizione migliore per scrivere. Almeno credo. Lo credo adesso. Tanto per fare qualcosa. Credo sia venuto il tempo dell’estasi dell’oro. Sabato recupererò da mia madre la sacca con le fotografie della mia famiglia e dei parenti dispersi nelle campagne e nei paesi in bianco e nero che non esistono più da nessuna parte. A parte da me. Da me c’è spazio per le cose che non esistono. Ci penso da sempre, a quelle cose. Recupero le foto e poi le scandisco al computer. Che si dica scandire l’ho imparato dall’Accademia della Crusca. Non ci crederesti che uno come me, e invece. Tanta ma tanta crusca nella mia dieta. Questo mi prescriverebbe un medico del cibo. Come se già di mio non cagassi abbastanza fuori dalla tazza. C’è una partita di pallone sotto il diluvio e un motorino rovesciato in un campo notturno, un falò troppo alto per dei bambini e lucertole impazzite dall’asfissia in un contenitore di vetro ermeticamente sigillato, uno scorpione nero nella formalina e il fantasma mattiniero di una giovane sposa. C’è tutto quello che mi serve per vivere in santa pace questa mia solenne depressione. Per cui, come scrisse il russo che frequentai per far colpo su di una ragazza: e adesso, all’opera.
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il titolo è di Dana Reuter